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Messina
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Acquedolci
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Alcara
Li Fusi
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Alì
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Alì
Terme
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Antillo
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Barcellona
Pozzo di Gotto
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Basicò
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Brolo
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Capizzi
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Capo d'Orlando
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Capri Leone
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Caronia
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Casalvecchio
Siculo
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Castel
Di Lucio
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Castell'
umberto
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Castelmola
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Castroreale
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Cesarò
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Condrò
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Falcone
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Ficarra
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Fiumedinisi
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Floresta
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Fondachelli
Fantina
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Forza D'Agrò
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Francavilla
di Sicilia
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Frazzanò
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Furci Siculo
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Furnari
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Gaggi
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Galati
Mamertino
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Gallo D'Oro
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Giardini
Naxos
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Gioiosa
Marea
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Graniti
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Gualtieri
Sicaminò
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Itala
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Leni
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Letojanni
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Librizzi
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Limina
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Lipari
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Longi
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Malfa
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Malvagna
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Mandanici
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Mazzarà
Sant'andrea
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Merì
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Milazzo
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Militello
Rosmarino
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Mirto
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Mistretta
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Moio Alcantara
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Monforte
San Giorgio
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Mongiuffi
Melia
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Montagna
Reale
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Montalbano
Elicona
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Motta Camastra
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Motta D'Affermo
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Naso
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Nizza di
Sicilia
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Novara
di Sicilia
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Olivieri
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Pace del
Mela
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Pagliara
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Patti
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Pettineo
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Piraino
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Raccuja
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Reitano
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Roccafiorita
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Roccalumera
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Roccavaldina
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Roccella
Valdemone
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Rodì
Milici
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Rometta
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San Filippo
del Mela
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San Fratello
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San Marco
d'Alunzio
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San Pier
Niceto
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San Piero
Patti
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San Salvatore
di Fitalia
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Sant'Agata
di Militello
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Sant'Alessio
Siculo
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Sant'Angelo
di Brolo
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Santa Domenica
Vittoria
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Santa Lucia
del Mela
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Santa Maria
Salina
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Santa Teresa
di Riva
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San Teodoro
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Santo Stefano
di Camastra
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Saponara
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Savoca
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Scaletta
Zanclea
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Sinagra
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Spadafora
|
Taormina
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Terme Vigliatore
|
Torregrotta
|
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Torrenova
|
Tortorici
|
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Tripi
|
Tusa
|
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|
Ucria
|
Valdina
|
|
|
Venetico
|
Villafranca
Tirrena
|
|
|
|
COMUNE
DI CASTELMOLA
|
|
Indirizzo: |
Piazza
Cappuccini, - 98030 Castelmola (ME) |
Telefono: |
0942.28185
- Fax Municipio: 0942.28238 - 0942.28195 |
|
Stato: |
Italia |
Regione: |
Sicilia |
Provincia: |
Messina |
Zona: |
Italia
Insulare |
|
Latitudine: |
37°
51' 32'' N |
Longitudine: |
15°
16' 40'' E |
|
Altitudine: |
529
m s.l.m. |
Superficie: |
m.
16.803 |
Perimetro
Comunale: |
m².
17.142.482 |
|
Comuni
limitrofi: |
A
est: Letojanni; a nord: Mongiuffi Melia; a ovest: Gaggi; a
sud e est: Taormina. |
|
Frazioni
e Contrade: |
Contrada
Ziretto, Contrada Petralia, Contrada Roccella, Contrada Ogliastrello,
Contrada Vena, Contrada Spasale, Contrada Pandolfo, Contrada
Serrocastagna, Contrada Luppineria, Contrada Portella Vigna,
Contrada Conchi, Contrada Guardia, Contrada Tifani, Contrada
Francese, Contrada Acqualorto, Contrada Calomarsa, Contrada
Manca, Contrada Mastrissa, Contrada Trupiano, Contrada Dammari. |
|
Abitanti: |
1092 |
Densità: |
Densità
per Kmq: 66,6 |
|
Nome
degli abitanti: |
castelmolesi |
|
Sito
Web del Comune: |
www.comunedicastelmola.it |
Mail: |
// |
|
Codice
Fiscale: |
00435020839 |
Codice
Istat: |
083015 |
Codice
Catasto: |
C210 |
|
Santo
Patrono: |
San
Giorgio |
Giorno
Festivo: |
23
aprile |
|
Stemma: |
Castello
dal quale si ergono tre torri, sormontato da una corona, semi
incorniciato da un ramoscello per metà di alloro e
per metà di quercia. |
|
Gonfalone: |
Drappo
di seta azzurro riporta nella parte centrale lo stemma comunale
e la scritta "Comune di Castelmola". |
Caratteristiche
Stemma |
Simboli: |
Castello,
Torre (Il castello simboleggia quello di Castelmola). |
Colori: |
// |
|
Beni
monumentali: |
Chiesa
Madre S. Nicolò di Bari (Duomo) Costruita negli
anni 1934- 1937 (ing. Barbaro) sull'antica ed architettonicamente
pregiata Chiesa Cattedrale, la nuova Chiesa Madre (o Duomo),
dedicata a S. Nicolò di Bari, presenta una diversità
di stili che si intrecciano tra loro e che danno vita ad alcuni
particolari della costruzione cristiana, che fanno discutere
e che meravigliano per essere utilizzati in una chiesa cristiana,
come le stelle di Davide in ferro battuto a protezione di
aperture circolari.
Rispetto alla vecchia chiesa, intanto, la nuova è diversamente
posizionata.
L'antica chiesa si affacciava interamente sulla piazza col
sagrato e con il corpo campanario e dell'orologio a funzionamento
manuale, con le "mazzare" da dove si dipartiva un
ampio corridoio coperto (bagghiu) che dava accessi secondari
all'interno della chiesa.
Questa era divisa in due cappelle, quella del Rosario e quella
del Crocifisso, con un'unica navata al centro fino all'altare
Maggiore. Al termine del baglio ed alle spalle della cappella
del Crocifisso erano due ampi stanzoni.
Il primo serviva da sacrestia e per ospitare il clero nelle
ricorrenze maggiori; il secondo era spesso adibito a spettacoli
di vario genere, consentiti al tempo, data l'ampiezza, unica
in tutto il paese, dello stanzone. La porta maggiore d'entrata
dava proprio sulla piazza Chiesa Madre.
La nuova costruzione si allunga, invece, da nord a sud. Utilizza
tutto lo spazio del baglio per il prospetto della porta maggiore.
La facciata principale allora si affaccia su un corridoio
aperto, la piazzetta, uno spazio residuale della vecchia chiesa,
con un panorama assai bello.
La facciata e l'arco della porta maggiore sono movimentati
con rifiniture in cemento di colore chiaro.
Sulla Piazza Chiesa Madre è rimasto, riutilizzato,
il sagrato di una porta laterale, che si mantiene al primitivo,
assai bella per composizione sulla quale è sospeso
un magnifico rosone, tardo romanico locale, sopra la trave
superiore.
I laterali e la trave sono in blocchi di pietra bianca locali
martellati.
All'interno la nuova chiesa ha perduto le cappelle e sono
stati costruiti degli altari con iconi in marmo. Gli altari
sono in artistico marmo.
In gran parte sono stati riutilizzati i marmi degli altari
della antica chiesa, dono di emigrati d'America con offerte
fatte arrivare in più anni. Gli altari sono posti in
simmetria uno di fronte all'altro.
L'unica navata termina con la cupola dell'altare Maggiore,
ricco di marmi pregiati, alcuni del rosso di Taormina, che
si alzano al centro dell'altare in una bella sovrapposizione
del Tabernacolo e del baldacchino in marmo, che ospita il
Gesù risorto a Pasqua ed il Gesù Bambino a Natale.
Tutto il coro era chiuso al pubblico con una ringhiera in
marmi lavorati, eliminata poi per necessità di culto.
Due possenti colonne in marmo del rosso di Taormina sostengono
l'arco d'entrata al coro e riportano delle decorazioni in
marmo con animali simbolici, delle tentazioni addomesticate.
Nei marmi degli altari, compreso quello Maggiore, sono state
incise espressioni latine e date per ricordare il nome dei
fedeli che, al tempo, curarono l'erezione, o inviarono le
loro donazioni in denaro.
A volte esiste anche la data ed il nome dell'artigiano, che
ha eseguito l'opera. La volta del coro è a "damuso",
con canne lavorate coperte con gesso bianco, ampio, alto,
per dare il senso dell'infinito cielo, ma che infonde serenità
e semplicità.
Entrando dalla porta maggiore alla sinistra è l'icone
con la Maddalena, bellissima scultura, probabilmente della
scuola del Bagnasco, carica di grande forza emotiva.
Il lavoro strutturalmente è in legno. Sugli altri altari
stanno la statua di S. Antonio di Padova, della Madonna del
Rosario( statua dell'antica chiesa) e quella dell'Addolorata,
della quale si possiede un altro simulacro, custodito nella
chiesa di San Giorgio e che viene portato in processione il
venerdì santo. Bellissima per l'espressione del volto
contrito e del grande dolore, sia del corpo che dello spirito,
reso visibile in quest'ultima statua.
I quadri della Maddalena ed il San Giorgio, con i paramenti
sacri, lavorati in oro e di alto valore artistico, inventariati
dalle Belle Arti, si trovano in sacrestia.
Un pastore del luogo, almeno così si narra, ha scolpito,
su pietra, la statua del San Sebastiano, pesantissima, anche
se di modesta altezza, che si conserva, in un angolino quasi
dimenticato, in sacrestia.
E' una statua invece da vedere anche per la sua semplicità,
per l'impegno posto dell'autore-scultore e per le tecniche
usate.
Appoggiato al muro della facciata, prospetto sud, è
un soppalco lavorato e decorato con disegni di ispirazione
e richiamo arabi, sul quale stanno l'organo e gli spazi per
i cantori.
Ci si arriva da una porticina ed attraverso una scala interna,
illuminata da oblò chiusi con grate in ferro battuto
e disegni a stella di David. La scala termina sul campanile,
molto panoramico, coperto a semivolta di gusto arabo e di
pessimo colore.
Chiesa di San Biagio è la prima chiesa cristiana
sorta a Castelmola, dopo la venuta di S. Pancrazio a Taormina.
Già appesantita dal tempo, con ampie screpolature e
fenditure, con infiltrazioni di acqua e per l'abbandono degli
Amministratori e da chi aveva responsabilità di culto,
è andata in rovina.
Solo con finanziamento del 1997 la chiesetta è stata
ricostruita per vigilare sui campi della distrutta Mylai,
che sorgeva sui piani sottostanti, con il vasto e magnifico
panorama, che da qui si gode.
Chi volesse visitare la chiesetta ricostruita deve percorrere
la mulattiera da Taormina in salita, dopo la porta Saraceni,
o da Castelmola, dopo la piazzola del "Cannone".
Essa è posta tra la roccia ed un piccolo piazzale pavimentato,
con una magnifica balconata su un incantevole panorama.
Il primitivo piazzale in terra e larghi filoni di pietra che
si fermavano a formare un viottolo che portava alla chiesetta
è stato adesso spianato e lastricato con lastre di
pietra di Mirto ed una bella scalinata di accesso, bella per
il panorama che da lì si gode.
All'interno della chiesetta un unico vano, quattro passi per
arrivare ad un altare, con sopra una affresco in pastello
che si indovina ancora, tra muffe, rimaneggiamenti ed incurie.
Questo affresco raffigura, con tocchi delicati e colori sbiaditi,
una Madonna col Bambino.
Nessuno custodisce la chiesetta. Essa è ancora lasciata
in abbandono, eppure questa è la prima chiesa cristiana
sorta dopo la venuta di S. Pancrazio a Taormina, che ha resistito
alla furia musulmana e racconta dell'antica Mylai lutti e
speranze che oggi solo in pochi riescono a decifrare.
Chiesa di San Giorgio La chiesetta del San Biagio è
la prima chiesa cristiana sorta a Castelmola, dopo la venuta
di S. Pancrazio a Taormina.
Già appesantita dal tempo, con ampie screpolature e
fenditure, con infiltrazioni di acqua e per l'abbandono degli
Amministratori e da chi aveva responsabilità di culto,
è andata in rovina.
Solo con finanziamento del 1997 la chiesetta è stata
ricostruita per vigilare sui campi della distrutta Mylai,
che sorgeva sui piani sottostanti, con il vasto e magnifico
panorama, che da qui si gode.
Chi volesse visitare la chiesetta ricostruita deve percorrere
la mulattiera da Taormina in salita, dopo la porta Saraceni,
o da Castelmola, dopo la piazzola del "Cannone".
Essa è posta tra la roccia ed un piccolo piazzale pavimentato,
con una magnifica balconata su un incantevole panorama.
Il primitivo piazzale in terra e larghi filoni di pietra che
si fermavano a formare un viottolo che portava alla chiesetta
è stato adesso spianato e lastricato con lastre di
pietra di Mirto ed una bella scalinata di accesso, bella per
il panorama che da lì si gode.
All'interno della chiesetta un unico vano, quattro passi per
arrivare ad un altare, con sopra una affresco in pastello
che si indovina ancora, tra muffe, rimaneggiamenti ed incurie.
Questo affresco raffigura, con tocchi delicati e colori sbiaditi,
una Madonna col Bambino.
Nessuno custodisce la chiesetta. Essa è ancora lasciata
in abbandono, eppure questa è la prima chiesa cristiana
sorta dopo la venuta di S. Pancrazio a Taormina, che ha resistito
alla furia musulmana e racconta dell'antica Mylai lutti e
speranze che oggi solo in pochi riescono a decifrare.
Chiesa Annunziata, col tempo ha subito parecchi interventi
di restauro e di aggiunta di ambienti all'interno, compresa
la stanzetta dell'ossario, dove, appunto, venivano raccolte
le ossa dei morti estumulati; altro ambiente quello, quasi
una continuazione della chiesetta, dove venivano preparati
gli interventi di esami autoptici sui cadaveri, quelle poche
volte che si sono verificati incidenti molto gravi.
La chiesetta è di rado aperta al popolo, serve quasi
esclusivamente, per rendere l'estremo saluto ai cittadini
morti, prima di essere tumulati nel Cimitero.
Un tempo qui venivano svolte alcune cerimonie, compresa la
festa dell'Annunziata, a ferragosto, e le feste di caccia
al gallo e di giochi tradizionali.
Il valore della chiesetta sta principalmente nello stupendo
portale nord, possibilmente tardo romanico locale, inventariato
dalle Belle Arti.
Unica, modesta e per questo ammirabile nella sua semplicità,
l'alzata del campanile, capace di ospitare una sola campana,
che si fa suonare solo per ricorrenze funebri di una certa
importanza per la cittadinanza.
L'immagine in marmo bianco dell'Annunziata è posta
sull'unico altare della chiesetta. Il complesso ha perduto,
per mano anonima, l'Angelo dell'Annunciazione.
Il Castello I resti della fortezza poggiano su di uno
sperone di roccia oblungo (orientato nord-ovest/sud-est)che
sovrasta il piccolo abitato medievale e dal quale si gode
una fra le visuali più suggestive di Sicilia (quota
530 m. s.l.m.).
Esso continua la linea dei castelli che con Milazzo, Novara,
Tripi, Castiglione e Francavilla formava una linea inestinguibile.
Si è sempre ritenuto che Castelmola abbia rappresentato
una sorta di seconda acropoli per l'abitato di Taormina e,
probabilmente,tale funzione avrà svolto durante i due
assedi musulmani, che ebbe a patire la stessa Taormina nel
902 e nel 962 d.C. Oltre la menzionata iscrizione di sicura
epoca bizantina, i resti del castello della Mola non restituiscono
evidenze alto medievali.
Dell'originario complesso oggi si intravedono solo tracce
di una cinta muraria turrita, accessibile dal lato meridionale,
e il varco di una finestra, presso il lato ovest.
Desta particolare interesse la porzione sud dello sperone
di roccia, che ospita la fortezza: essa è, infatti,
il punto più elevato dell'altura, ospitante i resti
di un mastio a pianta quadrangolare.
La tecnica muraria è usuale: pietrame di varia dimensione
legato insieme da malta e inzeppato con laterizi; i cantonali,
là dove ancora resistono alle nebbie del tempo, presentano
blocchi lapidei mediamente sbozzati.Probabilmente quanto rimane
del castello, richiama un edificio fortificato databile tra
il XII e il XIII secolo d. C.
Difficilmente la tecnica muraria superstite si può
ascrivere ad epoca bizantina, tenendo conto del fatto che
probabilmente qualsiasi struttura fortificata alto medievale,
occupante il medesimo luogo, avrà subito pesanti devastazioni
per opera dei musulmani e, dunque, oggetto di totali e presunte
ricostruzioni per mano degli stessi conquistatori arabi e,
di seguito, normanni.
Il sospetto, però, che al di sotto dei resti dell'attuale
mastio quadrangolare possano celarsi tracce di precedenti
fortificazioni bizantine è grande, complice di tale
supposizione anche l'iscrizione, oggi posta sul lato meridionale
del duomo, riportante la scritta con incisioni greco-bizantine
del X secolo: "Questo castello fu costuito da Castantino,
patrizio e stratega di Sicilia".
Dovrebbe trattarsi di Costantino Caramalo, ultimo stratega
di Taormina, che nel IX secolo predispose le difese contro
gli Arabi. Sulla sommità dell'arco della porta d'ingresso
del castello, sta invece scritto: "Castello fedele a
sua Maestà - Anno 1578 ".
Le fonti arabe parlano dell'espugnazione di Taormina nel 902
d.C. Ibn al-Athir parla di castello nuovo di Taormina, che
potrebbe identificarsi con quanto ancora esiste presso Castelmola.
Notizie certe sulla fortezza risalgono ai secoli XIII e XIV.
Il castello della "Mola" è menzionato negli
statuti angioni relativi alle fortificazioni di Sicilia.
Alla dominazione aragonese risalirebbe, invece, l'edificazione
di una cinta muraria, ad ulteriore protezione del preesistente
castello. Nel XVI secolo Fazello ricorda la fortezza di Castelmola
quale prigione per malviventi.
Nel 1941 i Tedeschi istallarono sul castello la stazione radio
più potente del mediterraneo. A causa di questa stazione,
Castelmola, fu bombardata per oltre dodici volte dai caccia
alleati.
Lambita dagli incendi, che quasi ogni notte divampavano, rimase
miracolosamente incolume alla serie di attacchi.
Piazza S. Antonino rappresenta l'atrio del paese, il
biglietto da visita per chi arriva nel borgo, e per questo
viene chiamata anche "Piazza Porta"
Essa è collegata a Taormina grazie allo stradale costruito
dal 1923 al 1927. Infatti, dopo tanti anni passati in pratiche
burocratiche ed in progetti che si perdevano in decenni di
istruttorie e di promesse di finanziamento, nell'autunno del
1927 l'opera fu inaugurata. Peccato che essa distrusse la
vecchia e monumentale strada di entrata al paese con il primo
arco. Questa antica e primitiva strada era, infatti, scavata
nella roccia viva.
Si partiva dal Cimitero, dove, all'Annunziata, si raccoglievano
le stradine provenienti dalle varie contrade e da qui, dalle
vicinanze di un poggio alberato, iniziava e montava una stretta
e bellissima gradinata, costruita a blocchi di pietra bianca,
lavica, che incrociava, sotto la roccia possente del castello,
l'icone della Madonna della Scala, voluta dagli abitanti.
La scalinata passava quindi per la prima porta ( quella appunto
distrutta) e subito dopo dai piedi dell'arco si immetteva
sulla piazza irregolare e rocciosa.
Sulla destra per la porta( l'Arco) appena svasata rispetto
alla prima, era stato creato un secondo passaggio verso uno
sbalzo di roccia, ai piedi del castello, ed immetteva con
una scaletta e pochi gradini all'ombreggiato passo dell'arco,
direttamente tra le prime case dell'abitato chi non voleva
attraversare l'ampio piazzale e sottoporsi agli sguardi scrutatori
della gente che vi oziava.
I resti della distrutta porta, in gran parte, poi, furono
collocati al centro del muro esterno dei gabinetti pubblici.
Da qui la porta in blocchi fu, in seguito, prelevata, con
i blocchi in pietra, che conservavano incisioni, o particolari
ricordi. Fu collocata a metà della scalinata che porta
al castello, come porta d'entrata.
La Piazza S. Antonino fu ricostruita splendidamente dall'ing.
Columbra nel 1954, in pietra bianca e lavica, lavorate a quadratoni,
che contengono altri quadrati a mosaico, con marciapiedi,
che preparano il muro edificato sullo strapiombo della roccia
ed alberati, con sedili e spalliere costruite con le stesse
pietre e con lo stesso stile dei muri, con "balaustre"
e "finestre" a cancelli, che paurosamente ed immediatamente
immettono il visitatore sullo strapiombo.
Da qui si gode un panorama ampio ed affascinante.
Dell'antica e primitiva piazza con la nuova costruzione l'arco
romano è stato isolato, sono state abbattute le scalette
di accesso alla piazzola S. Antonino ed è stata al
loro posto edificata, con spallette a pietre faccia vista,
con pomice e blocchetti bianchi e neri, una scalinata in pietra
bianca locale, che esalta la maestosità dell'arco.
Ai piedi della scala sono state ricavate delle aiuole ed uno
zampillo d'acqua corrente.
Oltre all'arco romano, sulla piazza s'affacciano l'Auditorium
comunale, ricavato da una chiesetta mai consacrata, dedicata
a S. Antonino, l'ex municipio rifatto, in parte, nelle facciate
laterali ed in quella principale, la casa Sterrantino, costruita
in vecchia pietra a faccia vista, inventariata e tutelata
dalla Sovrintendenza alle Belle arti, il vecchio ed antico
bellissimo Caffè Blandano, rifatto, però ed
abbruttito con nuova veste.
Questa piazza viene definita anche come piazza "palloni
e sospiri", dato che chi riposa sui sedili, o all'ombra
dell'arco, spesso racconta di grosso, mentre le coppie degli
amanti si danno ad effusioni e passioni.
L'Icone della Madonna della Scala è presente
da prima della costruzione della strada di raccordo fra Taormina
e Castelmola. Infatti, anche quando Castelmola era collegata
con la località Annunziata per mezzo della strada costruita
dai Normanni, sotto la roccia possente del castello, vi era
l'icone della Madonna appoggiata alla roccia e sopraelevata
dalla gradinata di accesso di alcuni metri.
Con la costruzione della nuova strada, l'icone, è rimasta
a livello stradale, pressoché al medesimo posto. Alcuni
fedeli, hanno fatto scavare una breve grotta dove, insieme
all'icone con l'altare, sono stati collocati delle panche,
per le preghiere dei fedeli e le adorazioni quotidiane dei
passanti. Una volta l'anno, al primo sabato di agosto, vi
si celebra una solenne messa. |
|
Feste
Patronali e Religiose: |
La
ricorrenza di San Giorgio viene solitamente festeggiata
nei giorni 22 e 23 di Aprile.
Il 22 il Santo esce dalla cupola dov'è riposto in
Chiesa San Giorgio per mezzo di un congegno elettronico
dono dei fedeli. Uscita dalla chiesa, la statua nella sua
imponenza piena di fiori e luci ed accompagnata da una gran
folla di fedeli, viene portata alla Chiesa Madre per essere
onorata e pregata.
Il 23 è una giornata di festa per tutto il paese.
La giornata incomincia con la sveglia suonata dal corpo
bandistico che effettua il giro del paese. Quindi continua
con la messa in onore del Santo alle 10:30 seguita dall'esibizione
della banda in Piazza Duomo.
Arrivata l'ora del pranzo sul tavolo dei Castelmolesi non
può mancare il piatto caratteristico delle feste:
la "carne 'nfurnata".
Nel pomeriggio la banda allieta lo spirito dei cittadini
suonando per le vie del paese fino a quando non inizia la
messa della sera. Finita la messa il Santo viene portato
in processione per le vie del paese, illuminato da luci
approntate appositamente per la festa, seguito dal corpo
bandistico e da una grande moltitudine di fedeli.
Arrivato in località "Girone" la statua
viene appoggiata su di un piedistallo ed incomincia uno
splendido spettacolo di fuochi artificiali, dono dei fedeli
al loro Patrono.
Finito lo spettacolo pirotecnico la processione riprende
e la statua viene riportata nella sua chiesa.
La ricorrenza festiva è preparata da una novena e
da un triduo durante i quali è cantato dai fedeli
e dagli officianti l'inno dedicato al miracoloso Patrono,
composto e musicato da un monaco (Padre Antonio), nel quale
è intessuta tutta la vita prodigiosa del Martire
con riferimento alle particolari protezioni dimostrate per
il paese e le campagne nelle calamità e sofferenze.
La laude dice:
Evviva S.Giorgio
Celeste Patrono
Che grazie e perdono
Per Mola implorò
Evviva
S.Giorgio
E chi lo creò.
Con
tenero affetto
Con fervidi cuori
S.Giorgio si onori
E chi l'esaltò!
Dai
teneri anni
Ei visse innocente
Per
sempre fu esente
Da colpa mortal!
Dal
mondo corrotto
Fuggendo il periglio
Il candido giglio
Intatto serbò.
Il
fiero dragone
Già vinto e sconfitto
Da lancia trafitto
Per sempre fugò.
Difese
da forte
La Santa sua fede
Nel cielo la sede
Col sangue acquistò.
L'amato
Signore
Lo pose sul trono
Celeste Patrono
A noi l'assegnò.
Il
popol di Mola
Il Santo virile
Nel mese di aprile
La festa sacrò.
Fu
Mola difesa
Da morbi e tempeste
Da fame e da peste
E d'ogni altro malor.
Le
arse campagne
Di questo paese
Benigno e cortese
Di pioggia abbondò.
Lodiamo
S.Giorgio
Con inni e con canti
Con gridi festanti
Di fede e d'amor.
Dal
ciel ci protegga
Nei gravi perigli,
Noi siamo suoi figli,
Suoi servi fedel.
Evviva
S. Giorgio !
Si bella parola
Il popol di Mola
Con fede cantò.
|
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Eventi
Culturali: |
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Eventi
Gastronomici: |
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Eventi
Sportivi: |
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Curiosità: |
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Mercati
e Mostre: |
// |
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Centri
Culturali: |
Auditorium
(ex Chiesa S. Antonino)
Guarda dalla parte nord, incastrato tra le rocce del castello
ed il muro sovrastante la Piazza S. Antonino, la chiesetta,
mai consacrata e trasformata inizialmente in cine- teatro
con una profonda manipolazione della primitiva costruzione.
La chiesetta, in tutta la sua esteriorità, ha un aspetto
austero, con un fascino particolare per la sua cornice ed
il senso dell'antico.
Sul lato sinistro, in alto ancora si vede il luogo dove era
posta una campana, forse a dimostrare che la costruzione si
voleva utilizzare a chiesa, oppure era la campana che chiamava
a raccolta il pubblico per le benedizioni degli animali e
per gli avvenimenti di una certa importanza, che si sarebbero
svolti nella piazza, o nella stessa chiesetta.
Probabilmente la prima costruzione dovrebbe essere coeva a
quella della chiesa di S.Giorgio e quindi tra il quattrocento
ed il cinquecento, ma, nel tempo ha subito molteplici interventi.
La costruzione è stata abbondantemente allargata, all'interno
ed in lunghezza, con il taglio della roccia, prima abbondantemente
visibile nella parete di nord.
Coi lavori di adattamento venne realizzata una stanzetta,
in parte sotto il palchetto in cemento, buia, senza aperture,
da adibire a spogliatoio per gli artisti.
In questo locale, infatti, nei primi anni dopo la prima guerra
mondiale, si tenevano pubbliche riunioni ed in seguito furono
presentati spettacoli teatrali curati dagli insegnanti delle
scuole elementari del Centro e manifestazioni scolastiche.
Le Amministrazioni del tempo cercarono di realizzare nella
chiesetta un luogo che potesse servire la comunità
in caso di riunioni allargate ed a ricreatorio per i giovani
molesi.
Un intervento alla volta, che non completò mai l'opera,
ma che ha inciso sulla struttura, specie degli stipiti delle
aperture frontali.
Finalmente nel 2001, dopo svariati progetti, che non trovarono
copertura finanziaria, l'opera è stata inaugurata con
una sala per convegni, limitati per numero.
E' l'Auditorium un locale accogliente, raccolto, ma non eccessivamente
capiente.
La chiesetta ha vissuto un atto importante e significativo:
qui i cittadini di Castelmola, riuniti per discutere hanno
votato l'annessione, alla conclusione della spedizione dei
Mille, nel 1860. Con quest'atto, col cuore e con l'azione,
i nostri concittadini cementavano la sublime epopea risorgimentale,
che aveva restituito l'Italia agli Italiani e che aveva, seppur
modestamente, toccato anche la comunità castelmolese.
Museo Medievale
Il Museo Medievale di Castelmola raccoglie testimonianze e
oggetti relativi a uno dei piu' complessi e significativi
periodi storici della Sicilia.
Dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente, alla scoperta
dell'America, si alternarono nell'isola le dominazioni di
Goti, Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini e Aragonesi.
L'incontro di civiltà e tradizioni diverse diede vita
a un retaggio culturale unico e originale: un'eredità
storica ancora viva e caratterizzante.
L'attuale patrimonio del museo è costituito, per la
maggior parte dei casi, da oggetti prodotti o in uso in Sicilia
durante il millennio dell'Età di mezzo.
Le ceramiche di produzione siciliana, pugliese e iberica,
la collezione di monete medievali d'oro e d'argento coniate
in Sicilia, i bronzetti ornamentali, la croce bizantina in
oro, il tesoretto normanno di "tari" e la testa
di giovanetto attribuibile a Francesco Laurana, offrono al
visitatore l'opportunità di compiere un affascinante
viaggio attraverso la quotidianità dei Siciliani di
quel tempo.
Lo spazio espositivo offre già, per la sua collocazione
adiacente il castello, motivi di interesse. La sua spettacolare
posizione rivela, infatti, l'importanza strategica dell'area
e il rilevante ruolo difensivo rivestito in epoca medievale.
Un'ampia vetrata mette in relazione i preziosi reperti esposti
con lo straordinario territorio circostante, offrendo così
il contesto per un percorso museale fonte di suggestioni e
di motivi di analisi.
La collezione esposta si compone di reperti di vario genere,
che consentono di comprendere le linee generali dell'evoluzione
culturale in Sicilia, in epoca medievale.
Un nucleo numismatico rappresentativo della circolazione monetaria
nell'isola rende possibile la conoscenza delle condizioni
economiche, politiche e sociali nell'ambito del bacino del
Mediterraneo e dell'Europa continentale.
Una serie organica di protomaioliche e maioliche, comprese
in un periodo di tempo che va dall'età araba al Rinascimento
europeo, permette l'approfondimento della cultura, dell'arte
e delle tradizioni siciliane.
Attraverso queste ceramiche si sviluppano tematiche relative
ai traffici commerciali, alle influenze artistiche confluite
in Sicilia, alle abitudini alimentari, ai riti e alle celebrazioni
quotidiane.
Utensili e ornamenti, piccoli manufatti metallici, medaglie
e finimenti completano la serie di reperti legati alle piu'
tipiche attività umane dell'epoca.
Nella collezione anche armi e armature da parata, sigilli
e stampe settecentesche dai "Voyages pittoresques"
di Saint-Non e Houel: esemplari di epoca successiva correlati
al Medioevo per gusto e cultura e inseriti nel percorso museale
a testimoniare la continuità dei quella tradizione. |
|
Risorse: |
Prodotti
tipici: Fin dai tempi dell'antica Grecia, secondo i racconti
di Erodoto ed Omero, si usava aromatizzare i vini locali aggiungendo
ad essi i prodotti tipici del luogo, allo scopo di conservare
e far conoscere ad altri popoli i sapori e gli aromi di quella
terra.
Il vino alla mandorla viene realizzato mischiando vino bianco
secco, erbe aromatiche, mandorle ed essenze agrumarie in modo
da poter diffondere il nome di Castelmola nel mondo.
Esso è molto apprezzato liscio e fresco, con una fetta
di arancia o di limone, è indicato come aperitivo o
come digestivo, oltre a servire da base per cocktails o dolci.
Artigianato: c'è da segnalare la produzione
dei suddetti "scanni", antichi sgabelli costruiti
in legno di Ferla; il ricamo a mano di tessuti e i lavori
in ferro battuto. |
|
Numeri
Utili: |
Farmacia
Quattrocchi Lucia Piazza S. Antonio, 1 Telefono: 0942-28021 |
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Siti
Web nel Comune: |
www.castelmolese.it
www.turrisibar.it |
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Impianti
sportivi: |
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Strutture
ricettive: |
Agriturismi: |
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Hotel
e Locande: |
Hotel
Villa Sonia Via Porta di Mola tel. 0942 28082
Panorama di Sicilia Albergo Via Alcide De Gasperi,
44 tel. 0942.28027
Villa Regina Affittacamere Punta san Giorgio tel. 0942.28289 |
Residence: |
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Bed
and Breakfast: |
// |
Ristoranti
Bar e Pizzerie: |
Turrisi
Bar Piazza Duomo tel. 094228181
Ristorante Chicchirichì - Contrada Ogliastrello
- tel. 0942 28201
Ristorante Taverna Dell'Etna - Via De Gasperi, 29 tel.
0942 28868
Bar Caffè S. Giorgio - Piazza S. Antonio, 1
tel. 0942 28228 |
Altro: |
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Personaggi
illustri: |
// |
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Come
si arriva: |
Auto: |
Da
Catania o Messina
Prendere l'autostrada A18 ed uscire al casello di Taormina,
in prossimità di Mazzarò svoltare a sinistra.
Attraversare l'abitato di Taormina ed immettersi sulla strada
provinciale 10 |
Autolinee: |
In
Aereo
Atterrare all'aeroporto "Fontanarossa" di Catania.
Proseguire in auto percorrendo la strada provinciale 69, imboccare
la tagenziale E45 e continuare sull'autostrada A18. Uscire
al casello di Taormina e in prossimità di Mazzarò
svoltare a sinistra. Attraversare l'abitato di Taormina ed
immettersi sulla strada provinciale 10. |
Ferrovia: |
Scendere
alla stazione di Taormina-Giardini. Proseguire in auto sulla
SS114, attraversare poi l'abitato di Taormina e immettersi
sulla strada provinciale 10. |
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Cenni: |
Nell'
VIII secolo a.C. circa, nella zona di "Piano delle Ficare",
i Siculi diedero vita ad un nuovo insediamento chiamato
Mylai (grande masso o, appunto, Mola), fortificazione
a Nord di Taormina .
Essi occupavano già da tempo i campi dov'era stata
fondata Naxos (734 a.C.), ma all'arrivo dei Greci preferirono,
restando in pace e collaborazione con i nuovi venuti, portarsi
sulle alture, nei luoghi di migliore esposizione, che coltivarono,
vi impiantarono le loro residenze e fortificarono secondo
le loro conoscenze.
Questi Siculi, occupato il Monte Tauro, si spinsero anche
più in alto, e stanziarono delle tribu' a "Decima
alta" e, soprattutto al "Piano delle Ficare",
luogo confortevole per il clima mite, per la vicinanza agli
abitanti del Tauro, per la presenza di sorgenti d'acqua (soprattutto
il Sifone) e per la fertilità delle terre.
A Mylai , quasi sicuramente, i Siculi, a guardia dei sentieri
percorribili, posero delle fortificazioni per impedire attacchi
indesiderati. Queste fortificazioni erano formate da muretti
rozzi, ma capaci di difesa, e da sentinelle che dall'alto,
erano capaci di lanciare sassi nelle gole naturali della roccia.
Sette anni dopo la distruzione di Naxos (403 a.C.) , cioè
nel 396, Dionisio, tiranno di Siracusa, concede ai Siculi
di possedere le terre da loro occupate e ne autorizza la stabilizzazione
a Taormina, ma anche a Mylai e dintorni. Successivamente,
però, Dioniso si ricrede e comincia a guardare con
occhio ostile, Taormina e Mylai, alle quali fa arrivare sempre
piu' insistentemente continue minacce.
Molto probabilmente la posizione assunta da Dionisio
è data dal fatto che le due gemelle nella guerra avevano
appoggiato i Cartaginesi contro Siracusa, della quale ne odiavano
la tirannide e quindi quei Siculi divenivano inquilini scomodi
ed inaffidabili, specie come custodi dell'unica strada di
collegamento verso la stessa Siracusa.
I Siculi, prevedendo l'intervento siracusano contro le loro
roccaforti, curarono, come poterono, di rinforzare le mura
e di costruirne altre là dove se ne presentava il bisogno
ed aumentarono. i presidi armati ed i posti di vigilanza.
Lo stesso Dionisio, allora, alla testa di un numeroso e forte
esercito, si accampò sui piani della già distrutta
Naxos, ma per meglio vedere e controllare i Siculi del monte
del Tauro e di Mylai, spinse le punte avanzate del suo esercito
sui colli di Mastrissa, in vista proprio di Turomenion e di
Mylai, da dove, facendosi vedere, poteva egli ben vedere i
Siculi e le loro mosse.
I Siculi, per nulla intimoriti dalla presenza di un sì
potente nemico, si fecero anch'essi notare, proprio perché
certamente volevano mostrare la loro sicurezza e tranquillità
nel momento di subire la maggior pressione.
Da allora il pianoro, dove Dionisio si accampò, fu
detto appunto delle Tende.
Tra Dioniso e i Siculi si trattò. Dioniso chiedeva
la resa immediata dei Siculi, questi volevano il diritto ad
occupare quelle terre. Naturalmente non si giunse ad alcun
accordo ed allora Dioniso pose Mylai sotto assedio.
Durante questo periodo, (396-394 A. C.) si ebbero numerosi
incontri tra assediati ed assedianti, incontri che non sortirono
proprio a nulla. L'assedio durava da parecchio tempo e allora
Dionisio mise in atto il suo piano di attacco definitivo.
E' Diodoro Siculo che racconta l'attacco. In una notte buia,
durante la quale era caduta parecchia neve, che aveva coperto
il terreno fin sulla riva del mare, Dionisio, alla testa del
suo esercito mosse all'attacco incitando i soldati alla scalata.
Mylai, già prostrata dalle sofferenze, priva d'alimenti,
presa nel cuore della notte dalla parte sud (Decima e Sifone)
quasi senza accorgersene, si trovò i nemici dentro
le abitazioni.
I Siculi si diressero in fuga verso Taormina, inseguiti dai
guerrieri mercenari siracusani, che, nella fretta, intanto
si erano lasciati dietro la parte alta del colle di Mola.
S
vegliati dalle grida degli inseguiti, i Taorminesi si precipitarono
sulle mura ed opposero resistenza all'attacco, mentre le guarnigioni
dell'alta rocca di Mola (attuale Castelmola) accorrevano in
difesa dei vicini fratelli. Preso da due lati a "Chiusa",
l'esercito siracusano si diede a disordinata fuga.
Lo stesso Dionisio, ferito e travolto dai suoi in fuga, perdette,
o dovette abbandonare, le armature per guadagnare la vita.
Vista l'impossibilità d'una vittoria, tolse il campo
e tornò a Siracusa.
Ma Dioniso non si da per vinto e nel 392 a.C. ritenta l'assalto
riuscendo, questa volta, ad occupare Mylai e Tauromenion e
costringendo i Siculi alla fuga.
Morto Dioniso, Andromaco governa la città abbandonata
dai mercenari di Dioniso. Durante questo periodo (367-358
.C.), il territorio viene ripopolato dai Siculi e dai Greci,
Tauromenion crebbe in popolazione ed organizzazione politico-amministrativa
e Mylai troverà in Andromaco il suo vero padre, il
rifondatore della acropoli fuori le mura, difesa a nord di
Taormina, che inizia ad avere le sue porte, le sue fortificazioni,
la sua organizzazione, i suoi abitanti, le sue case. Intorno
al 358 a.C. Andromaco fortifica Mylai e vi costruisce nuove
abitazioni.
Così, Mylai, diviene fortificazione a nord di Taormina
in quella zona alla quale è stato dato il nome di "
Piano delle Ficare", limitata, dalla parte orientale,
dalla porta, successivamente costruita e che, dall'ultima
distruzione, prende il nome di " Porta Saraceni".
A Nord si erge il fianco del Colle di Mola, mentre una parte
della scarpata congiunge Mylai, il Piano delle Ficare con
il Colle di Mola. A sud il terreno scorre, dopo il piano,
verso le freschissime acque del Sifone e le terre dal torrente
irrigabili, fertili e coltivate.
Per l'abitato, trovandosi le sorgenti d'acqua tutte fuori
dalle mura di fortificazione, venne curata la costruzione
di cisterne per acque piovane e di serbatoi, due dei quali
sono ancora oggi utilizzati. Del geniale personaggio, Andromaco,
non ne conosciamo le origini.
Il suo nome vuol dire "uomo di guerra" ma la sua
opera è tutta dedita alla prosperità del popolo
e contro la tirannide.
Andromaco ebbe il merito di raccogliere i Greci superstiti
e dispersi dopo la distruzione di Naxos, integrandoli con
i Siculi abitatori. Emersero allora le capacità greche,
le abitudini, le arti e forse anche la lingua greca divenne
la lingua ufficiale di Taormina e di Mylai.
Dal 314 al 287 a.C. fu signore di Siracusa un nuovo tiranno:
Agatocle. Egli estese la sua tirannia a tutte le altre
città della Sicilia orientale e a nulla servi la lega
formata da tutte le città greche indipendenti. Tauromenion
si vede soppresso il suo governo autonomo ed insieme a Mylai
subisce la tirannia di Agatocle, il quale manda in esilio
tutta la famiglia di Andromaco.
Alla morte di Agatocle e dopo la parentesi degli inaspettati
avvenimenti, che rattristavano Messene e Tauromenion ad opera
dei Mamertini, compare un nuovo tiranno (270) di nome
Tindarione.
A lui i Taorminesi affidano la città perché
essa fosse difesa contro i Mamertini, che la minacciavano
dalla vicina Mylai e dall'alto del colle di Mola, dove si
erano intanto insediati.
E poichè non si poteva essere padroni di Tauromenion
se non lo si era di Mylai, né della stessa Mylai se
non lo si era dell'alto colle di Mola, Tindarione concentrò
la sua attività guerriera sulle fortificazioni di Mylai
e sull'alto colle di Mola, pressoché inaccessibile
se non veniva presa prima Mylai del Piano delle Ficare.
Tindarione ebbe ragione di Mylai e scalò, con grosse
perdite, le rocce del colle di Mola e snidò i minacciosi
Mamertini, rendendo certamente sicura la città di Taormina,
apprendendo anche, a sue spese, che le fortificazioni a nord
andavano meglio protette per la difesa degli abitati.
Sotto la tirannia di Tindarione, anche se in verità
non fu proprio una tirannia arrogante e pesante, si ebbe pace
e benessere. Taormina si allargò e si incrementò
demograficamente.
Mylai iniziò la sua espansione verso l'alto, verso
il colle di Mola e verso sud, cioè verso le acque e
le terre del Sifone.
A causa della sua scelta di appoggiare Pirro, nel tentativo
non riuscito di liberazione della Sicilia dai Cartaginesi,
Tindarione subì una rivolta dai suoi sudditi che lo
costrinsero ad abbandonare il suo ruolo. La città di
Tauromenion, quella di Mylai e i territori limitrofi, così,
riprendono le antiche libertà di governo.
Ritornano allora i Mamertini a governare Tauromenion, Mylai
e i territori limitrofi. Contro di loro Gerone II,
signore di Siracusa, diresse la sua prima campagna, durante
la prima guerra punica (264-241 a.C.) concentrando il grosso
della spedizione su Mylai e l'alto colle di Mola e su Tauromenion.
Mylai cadde nelle mani del Siracusano ed il colle di Mola
seguì la stessa sorte.
Nel 263 Gerone ottenne da parte di Roma il riconoscimento
della sovranità su Tauromenium ed i suoi dintorni,
che governò dal 263 al 214 a.C. in pace con Roma e
non urtando Cartagine. In questo periodo Mylai rifà
le sue fortificazioni, crea le riserve di acqua con le cisterne
ed i pozzetti; si scava la conduttura del Sifone per Tauromenium
e per Mylai bassa e si spingono le case verso l'alto colle
di Mola.
Gerone, nel suo letto di morte, raccomandò, nell'eventualità
di una guerra tra Roma e Cartagine, di seguire sempre la politica
di Roma.
Ma alla sua morte molte città insorsero contro Roma,
provocandone così l'ira e il risentimento. Tra queste
città ci sarà anche Siracusa, che subirà
l'assedio e poi anche il saccheggio. Tauromenium e Mylai invece,
seguendo il consiglio di Gerone, si mantennero fedeli a Roma
ed ambo e due inviarono una commissione a farle atto di sottomissione.
Nel 212 a.C. Tauromenium stipulò con Marcello un trattato,
mediante il quale Roma la rendeva "libera et foederata".
Mylai godé ampiamente di questi benefici poiché
alle città federate erano riservati particolari privilegi
e tra questi quello di utilizzare le proprie autonomie e battere
moneta.
Sotto il dominio romano la Sicilia, dai grossi ai piccoli
centri, accrebbe il suo stato già agiato ai tempi di
Gerone. Ma avvenne che incominciarono a sparire i piccoli
proprietari terrieri e si diede vita al latifondo.
Questo diede vita ai primi malumori, che molto presto sfociarono
in una rivolta sociale. La rivolta coinvolse, l'Italia intera,
e quindi, anche Tauromenium e Mylai, dove i lavoratori trucidarono
i loro padroni. Decisa a porre fine a questa incresciosa rivolta,
Roma, inviò il console Rupilio.
Questi, con i suoi uomini, si diresse su Tauromenium e la
lotta fu aspra e lunga, durante la quale gli schiavi, per
sfamarsi, si diedero ad atti di cannibalismo. Infine la città
e le difese a nord capitolarono per mano romana.
Trenta anni dopo la rivoluzione servile divampò più
tremenda di prima con a capo Atenione e Salvio. Tauromenium
e Mylai furono ancora i centri animatori, ma il console Manio
Aquilo, accorsovi con l'esercito, vinse ed uccise Atenione.
Gli schiavi, rimasti senza capo, fuggirono per le campagne
di Mylai.
I superstiti si rinchiusero per combattere dentro le mura
di Mylai e sull'alta rocca del colle di Mola, ma, privi di
acqua e di cibo dovettero, infine, subire il volere del Console
nella resa, pagando, i più, con la vita, l'atto di
ribellione. Gli altri, condotti a Roma come schiavi, trovarono
la morte nella lotta con le bestie feroci nelle arene dei
circhi
Con il calmarsi delle acque Silla manda in Sicilia Gneo
Pompeo, che governò con mitezza, saggezza e giustizia.
Nel 73 a.C. il Senato però invia come governatore in
Sicilia Verre, corrotto e disonesto. Le città
della Sicilia, tranne Messane e Siracusa, che godevano dell'amicizia
di Verre, si rivolsero al patrocinio di Cicerone, il quale
prese per sé la causa e si recò nell'isola per
la inchiesta.
Cicerone, completata l'inchiesta e tornato a Roma,
con commoventi e palpitanti arringhe, ebbe la meritata vittoria
ed il Senato restituì alla Sicilia ciò che aveva
perduto per mano di Verre.
Nel 36 a.C. nel tratto di mare compreso tra Capo Taormina
e il Capo di Schisò, si svolse un'esaltante battaglia
navale tra Sesto Pompeo ed Ottaviano. Ottaviano
fu rovinosamente sconfitto e, a stento, su una barca riuscì
a raggiungere la Calabria.
Ma egli non abbandonò la sua idea e così riuscì
a sconfiggere l'avversario e Tauromenium e Mylai passarono
in mano a Roma.
Gli abitanti del luogo, rimasti fedeli a Sesto Pompeo, furono
trasferiti in altri luoghi, e furono sostituiti da nobili
e ricchi cittadini romani, che costruirono delle ville nei
posti panoramicamente più belli.
Con la caduta dell'impero Romano nei secoli VII, VIII e IX
la Sicilia, passata sotto la dominazione dell'impero bizantino,
fu oggetto delle mire espansionistiche degli Arabi.
Nel 703 il generale Musa sbarca a Lilibeo, assale Siracusa
e fa ritorno in Africa portando con se un enorme bottino.
Da questo momento gli sbarchi ed i saccheggi non si contano
più, finché, nel IX secolo, la nuova potenza
musulmana si stabilisce nella parte occidentale della Sicilia.
Rimane fedele a Costantinopoli la parte nord dell'Isola.
Contro le città e le roccaforti di essa si puntarono
le armi musulmane. Una prima avvisaglia Tauromenium la ebbe
ad opera del comandante Khofadscia, ma pochi soldati
indisciplinati, che erano riusciti ad entrare per primi in
città, dilettati dal vino e dalle belle donne, vennero
assassinati nel sonno.
Ma l'ora più tremenda la Sicilia la doveva vivere sotto
un personaggio di immane ferocia, Ibrahim. Quando contro
di lui e la sua tirannia insorsero Arabi e Berberi egli, fingendo
di perdonare quest'atto di ribellione, invitò al castello
di Rakkada i capi dei rivoltosi con le rispettive famiglie
e poi li fece uccidere.
Per quest'atto le città siciliane si ribellarono ed
allora, come un fulmine, venne Abd Allah, figlio di
Ibrahim, a punire le città ribelli.
Egli passò per le campagne di Mylai e per i territori
di Tauromenium, sradicando vigne ed alberi, senza mai, però,
toccare gli abitati.
Si faceva vedere, lasciava il segno e poi rapidamente si spostava
in altra direzione. Così andò da un capo all'altro
vincendo e distruggendo, ma molto spesso anche perdonando
i cristiani delle città; poi passò in Calabria,
da dove fece sapere le sue vittoriose imprese al padre.
Intanto Leone III Isaurico mandava per difendere le zone del
taorminese una guarnigione comandata da due generali di poco
valore come Caramalo e Michele Caracto.
Nel 902 lo stesso Ibrahim venne in Sicilia e si accampò
sui piani di Naxos. I soldati di Caramalo e Carato, che potevano
contare anche sui giovani abitanti di Mylai, scesero dal Monte
Tauro ed affrontarono a viso aperto i Saraceni.
La lotta fu durissima e inizialmente a favore delle truppe
bizantine.
Quando, però, Ibrahim, alzando la sua possente voce,
incitò i suoi soldati coi famosi versetti del Corano
dove è pace e gloria nel magnifico Eden per i combattenti
morti per la fede, la potenza dell'urto dei Saraceni fu tale
che l'esercito di Caramalo, che già pregustava il sapore
della vittoria, fu costretto a darsi a precipitosa fuga verso
gli abitati, inseguito, su per le rupi scoscese, dal nemico.
Le porte furono sbarrate ed Ibrahim si aggirava inferocito
intorno alle mura per scovare un punto accessibile.
La sua attenzione si concentrò nella parte sud, verso
il torrente Sifone, dove aveva potuto notare che alcuni soldati,
dispersi per le campagne di Mastrissa, saltando le acque,
avevano scalato il viottolo verso Mylai.
Radunò allora una grossa parte del suo esercito e seguendo
quella stessa strada si trovò alle prime capanne di
Mylai, con i soldati stanchi ed impauriti che quasi non opposero
resistenza. In un lampo allora mandò i suoi all'assalto
delle mura.
I Molesi si difesero con coraggio, ma alla fine furono sopraffatti
dai nemici. Così Mylai capitolò e scrisse la
sua ultima data il primo agosto del 902. Solo la fortezza
di Mylai, attuale Castelmola, riuscì a resistere con
i pochi soldati, che erano rimasti accerchiati, ma la natura
dei luoghi, la ripidezza delle rocce e l'inespugnabilità
della fortezza rendevano facilmente difendibile il luogo.
Si videro allora dal colle i Musulmani riversarsi dentro le
case di Mylai, depredare, uccidere, distruggere, dare alle
fiamme, mai sazi della loro ferocia.
I soldati di Ibrahim, passando per la porta "Saraceni"
si riversarono con furia su Tauromenium. Le porte furono spezzate
ed un'orda di soldati, ai quali Ibrahim aveva ordinato l'eccidio
generale, entrò nella gloriosa Tauromenium. I morti
non si contarono più.
Il feroce Moro, non ancora sazio, ordinò ai suoi Abissini
di scovare quei cittadini che sui monti avevano cercato scampo
e che questi fossero portati a lui. Sui monti e nelle campagne
di Mola, nelle grotte, nelle caverne furono trovati, li presero,
li legarono e li cacciarono davanti a loro come branchi di
pecore.
Pochissimi trovarono scampo nella Grotta dei Monaci, oltre
ai soldati rinchiusi nella fortezza ed impotenti a portare
aiuto ai confratelli.
Impietriti dagli eventi e senza alcuna possibilità
di movimento assistettero agli eccidi ed alla fine dell'amata
Mylai. Una delle tanti vittime fu il Vescovo Procopio,
che per aver benedetto la massa di prigionieri venne ucciso
ed il suo cuore fu addentato crudo dallo stesso Ibrahim.
I prigionieri furono tutti scannati in sua presenza davanti
alla chiesa di San Francesco di Paola.
La mylai di Diodoro non rinacque più dalle sue rovine,
ed oggi restano soltanto i ruderi ed il ricordo della gloriosa
ed eroica cittadina.
La data del primo agosto del 902 prepara l'inizio di una nuova
era. Dopo la distruzione di Mylai, certamente il luogo fu
abitato sia dai superstiti della distruzione, sia da nuovi
flussi di mercenari. E' questo il primo nucleo che forma l'abitato
della nuova fortezza.
La Mola, infatti, facendo tesoro degli insegnamenti
della storia di Mylai e dei suoi avvenimenti, nacque dalle
radici di Mylai del Piano delle Ficare, ma in una posizione,
che erano abituati a guardare dal basso.
Il clima era certamente più intenso, il panorama più
ampio, invidiabile, ma la posizione era ben protetta e presumibilmente
più sicura, cosa questa per il tempo ben più
importante delle altre, anche dei sacrifici per la mancanza
di acqua, che doveva essere attinta a fonti parecchio lontane
dall'abitato.
Con le mura a picco sulle ripidissime ed inaccessibili rocce,
la cittadina con il suo castello, che i Normanni di
Ruggero vollero imponente e ben distribuito, continuava
la linea dei castelli che con Milazzo,Novara di Sicilia, Castiglione,
Francavilla, Calatabiano, Taormina, Forza d'Agrò, formavano
una linea omogenea e pressoché inespugnabile sulla
Val Demone, Valle dell'Alcantara, dell'Agrò.
L'edificazione del castello dovrebbe risalire alla conquista
di Ruggero il Normanno,che riusciva a vincere la resistenza
musulmana intorno al 1078.
Dopo questa data i Normanni completarono la fortificazione
del colle e principalmente la monumentale entrata che con
una lunga scalinata superava, dall'Annunziata, le rocce e
si presentava davanti a due porte, che davano accesso alla
Piazza S. Antonino.
Dopo la stessa data i Normanni restaurarono e completarono
le fortificazioni romane e vi costruirono anche le case per
i soldati a guardia dei condannati rinchiusi nella fortezza.
In questo periodo nacque il nome Castelmola che è un
composto di Mola (per la forma del grosso cilindro roccioso
sul quale il paese sorge a forma di mola, di un possente molare),
più castello; oppure risulterebbe la traduzione di
Mylai, grande masso e, quindi, continuazione storico della
antica e gloriosa Mylai del Piano delle Ficare, più
castello.
E' certo comunque che questo civile popolo Normanno adibì
prima la rocca di Castelmola, a prigione per deportati politici
civili e malviventi comuni e, poi, accorgendosi della inespugnabilità
del luogo, ne curarono l'incremento demografico con uomini
liberi, pronti e fedeli al Re.
Rimarrà fedele a Guglielmo II il Buono, anche
quando Messina si ribellerà al reggente voluto dai
Normanni. Quando il regno normanno cederà il passo
alla Casa Sveva, Castelmola rese omaggio ai nuovi signori
e li accompagnò sia all'apice della loro gloria, sia
nelle ore più tristi.
Manfredi di Svevia potè contare sul suo piccolo
aiuto e resistette ai Francesi. Poi, per forza di cose
dovette seguire le sorti che Re Carlo impose alle città
vinte.
L'odio per la tirannide angioina, però, rimase e si
alimentò nell'animo dei molesi, lieti nel 1282 di poter
dare il loro contributo trucidando i Francesi della rocca.
Castelmola non dimenticò l'aiuto che gli Aragonesi
prestarono per la libertà dell'Isola e rimase, con
Taormina, fedele al Re d'Aragona.
Gli Spagnoli portarono in Sicilia un singolare periodo di
fastosa ricchezza e di inaudita miseria. I nuovi padroni piombarono
su Mola e Taormina preoccupati solo di ammassare ricchezze
per sé e per il Re, loro signore, imponendo tasse e
taglie d'ogni genere.
Durante la rivolta del 1675 di Messina contro gli Spagnoli
di Castelmola e di Taormina, né i Castelmolesi, né
i Taorminesi assecondarono i Messinesi, così le armi
francesi s'indirizzarono su Taormina e la roccaforte di Castelmola,
le quali furono costrette a capitolare.
Gli Spagnoli però ritornarono stringendo Castelmola
in un primo inutile assedio. Si racconta, che nella notte
buia e tempestosa del 19 dicembre 1677 un prete del luogo
trattò con gli Spagnoli e riusciva, con una lunga fune,
a tirare su dalla rupe S. Giorgio, o da punta Cicchitta pochi
Spagnoli, i quali, uccise le guardie, che non si aspettavano
proprio quella sorpresa, aprirono le porte agli assedianti.
Gli Spagnoli, in grande fretta piazzarono i cannoni e da qui
presero a bombardare Taormina, che cadeva sotto il fitto bombardamento.
Nel 1719 il generale Mercy tentò inutilmente
un assedio, durante il quale Castelmola stava per essere sconfitta
per mancanza di viveri. Allora i castelmolesi ebbero una pensata
geniale: essi presero le pochissime pecore che vi erano sulla
rocca e col latte munto fecero delle forme di formaggio.
Queste forme di formaggio, per un paio di giorni, furono calate
con delle funi agli assedianti per far vedere che le risorse
non mancavano. Allora Mercy ritenendo la fortezza inespugnabile
per la sua abbondanza di viveri decise di porre fine all'assedio.
Nel 1738 Castelmola passò ai Borboni di Spagna.
Durante il Risorgimento, anche Castelmola ebbe i suoi Carbonari.
Allora furono erette nella località "Girone"
delle forche dove i boia eseguirono numerose esecuzioni. Ma
il sangue più che il timore rinfocolava i sentimenti
dell'odio, contro lo straniero.
Nel 1848-49 Castelmola, con Taormina, prese parte alla gloriosa
rivoluzione esplosa in tutta la penisola italiana e dal 22
settembre 1848 al marzo 1849 il paese fu occupato dal colonnello
Pracanica di Messina, che comandava la II divisione
nazionale di Sicilia.
All'avanzare delle truppe regie sotto il comando di Carlo
Filangeri, il Pracanica abbandonò, in tutta fretta,
Taormina e si ritirò sui monti di Castelmola, lasciando
così i due centri al saccheggio ed agli incendi, mentre
gli abitanti fuggivano per trovare rifugio nelle grotte delle
montagne delle campagne di Mola.
Il nove aprile del 1860 si sparse la falsa notizia di uno
sbarco di Garibaldi. La folla, allora, si riversò per
strada al grido di "Viva l'Italia" "Viva la
libertà", "Abbasso i Borboni" ed all'apparire
del benedetto tricolore vi fu una nutrita manifestazione di
entusiasmo. Fortunatamente lo sbarco avvenne presto, l'11
maggio 1860, e così gli incriminati per la dimostrazione
sovversiva non ebbero a subire le terribili conseguenze del
processo.
Il popolo di Castelmola nel novembre del 1860 votava, riunito
in seduta plenaria, nella chiesa non consacrata di Sant. Antonino
(oggi Auditorium) plebiscitariamente l'annessione alla gran
Madre Italia
In tutte le vicende in cui la Patria ha avuto bisogno, Castelmola,
ha pagato il suo alto contributo con combattenti, che si sono
prodigati e l'hanno servita fino alla morte.
Nella guerra 15-18 ha avuto 18 morti, parecchi feriti, invalidi
e grandi mutilati. In quella 1940-45, per atti di valore sono
state conferite la medaglia d'oro al brigadiere Calabrò
e la medaglia d'argento a Peppino Leto, ambo e due caduti
valorosamente in Grecia.
Nel 1941 il comando tedesco installò sul castello la
stazione radio più potente del Mediterraneo, che vi
rimase fino allo sbarco degli alleati (9 luglio 1943).
A mezzogiorno del 9 luglio 1943 alcuni caccia bombardieri
inglesi sganciavano le prime bombe sul S. Domenico di Taormina,
che proprio in quel giorno ospitava il comando tedesco in
riunione.
Gli obiettivi furono raggiunti in pieno, ma non produssero
danni alle persone, poiché la seduta del comando era
stata sciolta proprio pochi minuti prima e le bombe colpirono
con precisione soltanto il salone e la chiesetta del S. Domenico.
Ma l'impressione fu dirompente ed iniziò in gran fretta
l'esodo della popolazione da Taormina e Castelmola verso le
campagne ed i monti proprio dove, tanti secoli prima, gli
avi avevano trovato scampo. I primi arrivati occuparono le
casette modeste, o furono ospitati da conoscenti, o dalle
famiglie dei luoghi.
Quelli che non lasciarono le proprie case furono profondamente
provati alle 16,30 dello stesso giorno. Un numero enorme ci
caccia americani sganciarono, a casaccio, tutto il loro carico
esplosivo, che poteva, e forse doveva, distruggere completamente
i due abitati.
Fortunatamente si era levato un forte vento di nord-ovest
e, vuoi per questo, vuoi per l'imprecisione degli sganci sugli
obiettivi, moltissime bombe andarono in mare, oltre le spiagge
di Mazzarò e di Spisone, altre in campagna, ma le vittime,
il panico, i feriti, le macerie furono tanti.
Un gran numero di ordigni, infatti, cadde sul popoloso rione
di Cuseni (Taormina ) ed intorno al Duomo, provocando la distruzione
completa di palazzi, case e delle chiese del S. Domenico,
del Carmine, di S. Antonio Abate e di S. Francesco di Paola,
con un gran numero di morti e feriti civili e militari. Castelmola
rimase incolume per lo spostamento a sud subito dagli ordigni.
Molti Castelmolesi, che temevano anche per familiari ed amici
di Taormina, assistevano al terrificante spettacolo, impotenti
e disperati dai belvederi di Castelmola e a gruppetti si recavano
fuori dal paese là dove erano gli sbocchi delle strade
da Taormina, a chiamare a gran voce le persone per le quali
temevano.
Tutti i pali telegrafici e telefonici, quelli dell'energia
elettrica furono spezzati. Si rimase senza notizie e senza
energia elettrica.
Nessuno seppe quel che era successo e quel che intanto succedeva
in Sicilia. A sera, verso le 21, quando i pochi rimasti in
paese presero a raggiungere le loro case in campagna, dove
intanto era stata spedita la famiglia, che si era ingrossata
per la fila di sfollati che chiedevano ospitalità,
passando per la rocca della Madonna della Scala incontrarono
il manipolo di tedeschi che da lì avevano sparato qualche
raffica con i fucili mitragliatori sugli aerei e che adesso,
raccolto il loro armamentario, stavano salendo su un camion
per abbandonare le posizioni, che pure, senza danno, avevano
occupato sul castello ed in paese.
Poi anche le campagne furono investite da un sibilante bombardamento,
sotto una nuvola di razzi che rendevano i monti, le campagne
e le case illuminate e che accrescevano il terrore. Nessuno
prese sonno in quella notte indimenticabile e nelle altre
successive, spaventose, che vi seguirono fino al 16 agosto
1943.
Il 14 agosto la terza armata del Generale Montgomery piazza
le possenti artiglierie a Fiumefreddo ed apre un fitto fuoco
sulle campagne, cioè sulle case di campagna di Castelmola,
ove qualcuno aveva detto che si trovavano ancora nascosti
rifugiati tedeschi.
Ore veramente tragiche per il pericolo al quale furono esposti
gli abitanti rifugiatisi nelle campagne. Fortunatamente il
cannoneggiamento durò poco perché al comandante
Montgomery venne fatto sapere che il nemico aveva interamente
abbandonato il paese e si era ritirato frettolosamente verso
Messina.
Mentre i civili, sgomenti, si rifugiano in punti morti, nelle
grotte, fatalità volle che un proiettile andasse a
scoppiare proprio sull'apertura della grotta posta ai piedi
del Monte Venere uccidendo l'insegnante Fortezza e ferendo
alcuni che nella grotta avevano trovato rifugio.
Si chiude così un'altra pagina tristissima delle consorelle
città, tanto strette nel comune destino, sempre amiche
e unite.
Nel 1947 Castelmola, su petizione di un gruppo di volenterosi,
guidati dal prof. Angelo D'Agostino, con decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri ottenne l'autonomia da Taormina,
perduta nel 1928. Nello stesso anno del 1947 vengono indette
le elezioni amministrative, che videro in competizione due
liste, S. Giorgio e Castello (così chiamate per i simboli
presentati di S. Giorgio e del castello con tre torri).
Vinse la lista S. Giorgio che elesse, in consiglio comunale,
con i suoi consiglieri, il Sindaco e la Giunta. Primo Sindaco
di Castelmola, dal 1947 fu eletto il cav. Giuseppe Biondo.
Ad oggi Castelmola ha avuto cinque Sindaci.
Con l'autonomia e per azioni degli amministratori del tempo,
Castelmola ha ottenuto storiche realizzazioni, tra cui l'arrivo
dell'acqua con la costruzione di un acquedotto consorziato
Castelmola - Taormina, l'acquisto del Castello, aperto al
pubblico, la monumentale piazza d'entrata, che ha sostituito
quella, anch'essa molto bella, primitiva, la bitumazione dello
stradale S.P. 10 Taormina Castelmola, l'edificio scolastico,
le strade interne, quasi interamente rifatte in acciottolato
di mare, la piazza Chiesa Madre mattonellata, il nuovo Municipio,
la strada di sventramento
A. De Gasperi, il rifacimento di tutte le strade di campagna
e la sistemazione delle pubbliche sorgenti, la realizzazione
della strada Annunziata - Lumbia tagliata nella roccia e per
gran parte carrabile, la strada Pietralia - Luppineria - Tifani
- Conchi, l'elettrificazione delle contrade del territorio
castelmolese e i telefoni pubblici e privati, condutture di
acqua potabile in quasi tutte le contrade e in gran parte
delle case private, il pubblico lavatoio, il campo di calcio.
La stragrande di queste opere e comunque quella che ha di
fatto trasformato il Centro e l'economia di tutto il territorio,
si è avuta tra il 1949 ed il 1956.
[Tratto da Castelmolese.it
"Castelmola Taormina e dintorni" di Arturo D'Agostino]
Etimologia (origine del nome)
Il paese fu chiamato Mola fino al 1862. La prima parte del
nome, ossia Castel, fa riferimento alla presenza di un castellum
o castrum in zona, la seconda parte deriva dal latino mola
(mola da mulino).
Il
Comune di Castelmola fa parte di:
Regione Agraria n. 10 - Colline litoranee di Taormina
Club I Borghi più Belli d'Italia
Patto Territoriale Valle dell'Alcantara
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